In questa pagina Cicsene intende dare voce agli operatori che in prima persona si confrontano con le criticità relative all’inclusione abitativa dei migranti, soprattutto alla luce del particolare momento che stiamo attraversando.
In questo momento, quali misure sono state deliberate? Rispondono adeguatamente ai bisogni che rilevate quotidianamente? Quali difficoltà emergono e quali sono i punti scoperti? Quali sono le vostre proposte?
Al momento in cui scrivo, il Consiglio dei Ministri ha appena varato il tanto atteso, decreto di Aprile, diventato decreto di Maggio, con il ben preannunciante titolo “Decreto Rilancio”.
Tante erano le aspettative, con particolare riferimento al settore Casa - Immobili, sia per quanto attiene le locazioni commerciali, sia per quanto attiene al settore Abitativo.Benchè il “Decreto Rilancio” consista in più di cinquecento pagine, zeppo di norme e preannunciati provvedimenti, ben poco riguarda il settore delle abitazioni private, anzi oserei dire nulla.
Viene preso in considerazione il settore delle locazioni commerciali con alcuni modesti provvedimenti, dimenticando totalmente il settore delle abitazioni private, che, al pari del settore commerciale, per diversi motivi soffre una gravissima crisi, conseguenza della perdita del lavoro di molti affittuari, che non sono in grado di provvedere al pagamento del canone di locazione e non sono altresì in grado di provvedere al pagamento degli oneri condominiali e di quant’altro.
In un primo tempo e, ancora prima del “Decreto Rilancio”, si era ventilato e, approfondirò l’argomento ad una più attenta lettura, lo stanziamento di fondi a favore delle Regioni, da queste ultime distribuiti, sui vari Comuni per un sostegno concreto a favore della locazione in campo privato, attraverso il canale, presente in tutti i Comuni, degli Uffici Casa o attraverso il canale LO.CA.RE.
Uffici Casa che già da tempo offrono attraverso i contributi, aiuto economico alle famiglie in difficoltà nel pagamento dei canoni di locazione, a condizione che lo stato di morosità sia conseguenza certa e provata di difficoltà economiche derivanti dalla perdita o riduzione dell’attività lavorativa; in buona sostanza la cosiddetta “morosità incolpevole”.
E’ evidente che l’emergenza sanitaria, non solo passata, ma anche futura, da cui deriverà la chiusura di molte attività e, per molte, la mancata riapertura, produrrà la perdita di molti posti di lavoro e l’impoverimento di gran fasce di popolazione, soprattutto in settori, ormai è noto, ove, alla luce di restrizioni future, le attività, più duramente colpite, non riapriranno.
D’altra parte, ritornando alla totale assenza di provvedimenti che potevano interessare il settore delle locazioni abitative, il Governo avrebbe potuto, a mio modesto avviso, porre in campo iniziative più concrete che tenessero conto della posizione, da un punto di vista economico, di alcune fasce di inquilini e, dall’altra, le difficoltà conseguenti dei locatori.
Non dimentichiamo infatti che le difficoltà degli inquilini ad adempiere alla loro principale obbligazione, che consiste, ovviamente, nel pagamento del canone di locazione e nel rimborso delle spese condominiali di loro competenza, produrrà effetti negativi sulla proprietà, in particolare sulla piccola proprietà che sarà tenuta comunque al pagamento di tutte le tasse ed oneri (non pochi) che gravano sul settore immobiliare .
Nulla di ciò è stato fatto, né temo verrà fatto.
Le conseguenze dell’assenza di ogni riflessione e successivo impegno sul settore Casa, così importante e significativo, avrà, purtroppo ricadute notevoli.
Piera BESSI
Asgi promuove la tutela dei diritti delle persone migranti in rete con i soggetti del territorio e realizza azioni di lotta alla discriminazione. In tema di inclusione abitativa e/o di promozione della convivenza, ci sono esperienze che vuole raccontarci?
Per noi è molto difficile avere un quadro generale che comprenda anche i rapporti tra privati, riceviamo principalmente segnalazioni riguardo ciò che accade nel pubblico. Da parte dei privati non abbiamo tantissimi casi. Di recente siamo stati contattati anche da italiani coniugati con cittadini stranieri che si sono rivolti alle agenzie immobiliari, le quali riferiscono che i proprietari non intendono affittare a stranieri. Si tratta di un fenomeno molto diffuso ma sommerso. Nello specifico, il caso di una signora di Sesto San Giovanni, comune in provincia di Milano, coniugata con un cittadino egiziano, alla quale l’agenzia ha rifiutato di fissare un appuntamento per visionare un alloggio. Abbiamo provato a contattare l’agenzia, scrivendo una lettera che non ha ricevuto risposta. È molto complicato intervenire sulle discriminazioni che tutti i giorni avvengono sull’accesso all’alloggio privato ed è difficile perché si tratta di intervenire su una libera contrattazione tra privati e le agenzie immobiliari tutelano l’interesse del proprietario. Sull’accesso all’edilizia pubblica è più evidente la discriminazione perché la materia è regolata da normative regionali. A tutela delle discriminazioni abbiamo la normativa contenuta nel Testo Unico sull’immigrazione, che sancisce parità nell’accesso all’alloggio pubblico tra cittadini italiani e cittadini stranieri con permesso di soggiorno almeno biennale. Che è già una norma discutibile ma almeno offre una minima tutela nell’accesso all’alloggio pubblico.
Quali sono i punti critici più importanti - dal punto di vista giuridico - su cui la politica e la società civile piemontese devono agire o vigilare per garantire la piena inclusione abitativa alle persone migranti?
La norma che abbiamo citato non sempre viene rispettata dalle regioni. La regione Abruzzo, per esempio, ha previsto dei bandi di accesso agli alloggi di emergenza abitativa post terremoto per cittadini stranieri che avessero il permesso di soggiorno di lungo periodo, quello che si ottiene dopo 5 anni di residenza e avendo maturato un certo reddito. Tutto ciò è in netto contrasto con la norma di cui sopra ed è discriminatorio. In questo caso è per noi più facile intervenire in quanto si tratta di atti amministrativi adottati dagli enti. I punti critici sono quindi proprio queste discrezionalità che vengono poste in essere dai legislatori regionali e dagli amministratori locali, che ignorano di fatto la normativa nazionale e anche le direttive europee. Queste ultime prevedono principi di parità di trattamento in alcuni casi anche già nelle procedure di accesso all’alloggio, sono vincolanti per gli stati membri e non possono essere disattese dalle singole amministrazioni, specie quelle comunali che non hanno nemmeno potere normativo. Ancora, in Lombardia un regolamento regionale prevede che per l’accesso ad alloggi pubblici, i cittadini stranieri extra Ue debbano presentare una documentazione aggiuntiva che comprovi l’assenza di proprietà immobiliari nel paese di origine, mentre per i cittadini italiani è prevista l’autocertificazione. Questi documenti per gli stranieri sono spesso impossibili da reperire in quanto in Paesi come la Nigeria, per esempio, non esiste un catasto a cui rivolgersi.
Per questo abbiamo fatto causa al comune di Sesto San Giovanni e siamo riusciti a vincere in primo grado. Andremo avanti per lo stesso motivo anche contro la regione Piemonte. La nostra azione intende rafforzare il contenzioso strategico, portando avanti azioni giudiziali che siano interessanti e utili per tutti gli stranieri e non solo per il singolo che si rivolge a noi. Noi abbiamo infatti la possibilità di agire in giudizio come associazione, per cui, nel caso di risultato positivo in giudizio, questo andrà a ricadere su tutti i cittadini stranieri interessati da quel provvedimento. Ciò è fondamentale per poter tutelare tutti i cittadini stranieri e non solo il singolo che si rivolge a un avvocato.
Quali sono i punti di forza del quadro normativo e più in generale del territorio che contribuiscono all’inclusione e alla convivenza interculturale?
Anche qui ribalterei la questione, concentrandomi invece sugli aspetti critici del nostro sistema normativo. A livello nazionale negli ultimi anni, per esempio, uscendo dal tema alloggio, le ultime prestazioni sociali quali il REI o il RDC sono prestazioni che di fatto dispongono delle discriminazioni nei confronti degli stranieri in quanto possono accedervi solo gli stranieri con permesso per lungo periodo. C’è un cortocircuito evidente: si sta chiedendo di certificare un reddito minimo a chi non ne dispone e proprio per questo sta chiedendo un sostegno al reddito.
Il migrante è spesso considerato nel suo essere lavoratore e non nel suo essere persona; anche la normativa a volte sembra richiamare questa visione. Secondo lei, che significato e che implicazioni porta con sé la visione utilitaristica? Le persone migranti possono avere un ruolo nelle nostre comunità in termini di crescita culturale, di benessere, convivenza e innovazione?
Il problema è che bisogna uscire da questa retorica del “migrante utile”. Accompagnata anche da un razzismo istituzionale: lo Stato diventa amico dei migranti solo quando servono braccia per l’agricoltura, dimenticandolo subito dopo, in quanto non più utile al sistema. Ciò è frutto di una politica razzista e securitaria. In Italia abbiamo circa 2,5 milioni di lavoratori stranieri che rappresentano il 10,6% degli occupati che contribuiscono al 9% del Pil. A questi vanno aggiunti circa 620.000 divenuti irregolari per mezzo del Decreto Sicurezza, un numero in crescita. È difficile pensare alla piena inclusione dei migranti senza che venga meno il razzismo istituzionale. Per fare ciò è necessaria la cancellazione dei Decreti Sicurezza e invece l’approvazione di misure come lo ius soli, utile per cominciare a pensare al migrante come a un vero cittadino e non come a un soggetto di passaggio o diverso, smantellando questa visione del migrante utile per ottenere nella pratica una reale inclusione. Il razzismo istituzionale influenza fortemente la popolazione. È importante che ci siano campagne di modifica delle norme perché è da lì che bisogna partire per avere un cambiamento culturale. È proprio il cambiamento politico e normativo che potrebbe portare al cambiamento culturale: se le norme smettono di essere discriminatorie, allora anche la popolazione smetterà di percepire queste distinzioni.
PAOLA FIERRO
Secondo la tua esperienza, rispetto alla questione abitativa, quali sono le difficoltà maggiori che i migranti incontrano? Quali, invece, gli elementi determinanti che contribuiscono alla piena inclusione abitativa?
La prima difficoltà è essere immigrato. Questa condizione comporta una serie di problematicità nei processi di acceso alla casa.
Una prima distinzione da applicare è quella tra migranti regolari e migranti irregolari: per la seconda categoria, evidentemente, le problematicità legate al raggiungimento dell’autonomia abitativa sono diverse e complesse e spesso portano il migrante a individuare soluzioni di fortuna che non garantiscono livelli di vita dignitosi.
Per quanto riguarda i migranti regolari, invece, i principali ostacoli all’ottenimento di un alloggio sono:
Per nostra esperienza, abbiamo riscontrato come la maggior parte dei migranti riesca a trovare una soluzione abitativa grazie al lavoro di mediazione e accompagnamento di associazioni del territorio. Un altro canale importante è quello offerto dall’agenzia del comune di Torino Lo.Ca.Re, la quale favorisce l’incontro tra domanda e offerta abitativa, grazie alla previsione di agevolazioni fiscali a favore dei proprietari e di garanzie e sussidi rivolti ai potenziali inquilini. Infine, un’ulteriore soluzione abitativa è offerta dall’Agenzia Territoriale per la Casa (ATC), anche se l’accesso all’Edilizia Residenziale Pubblica è subordinato a iter articolati che richiedono diverso tempo.
Questi canali rappresentano il lavoro di Enti pubblici e del privato sociale. Tuttavia, in molti casi i migranti riescono a soddisfare il loro bisogno abitativo grazie alla rete comunitaria in cui sono inseriti e che permette loro, attraverso il passaparola, di intercettare sul mercato privato della locazione soluzioni abitative convenienti e idonee.
Come già detto, i processi di inclusione abitativa dei migranti sono caratterizzati da elementi di complessità e difficoltà. Tuttavia, la nostra esperienza ci ha mostrato come il ruolo giocato dalla collaborazione tra ambito pubblico e privato sociale riesca, attraverso un importante lavoro di ricerca e mediazione, a favorire l’inclusione abitativa dei migranti. L’implementazione di attività di ricerca alloggi e mediazione con i proprietari è l’elemento vincente nei percorsi di raggiungimento dell’autonomia abitativa.
Le persone migranti possono avere un ruolo nelle nostre comunità in termini di crescita culturale, di benessere, convivenza e innovazione? In che modo si può realizzare questa inclusione?
Mi piacerebbe rispondere a questa domande attraverso una citazione dello scrittore Carmine Chiellino:
“Il migrante non solo porta la sua cultura d’origine con sé, ma modifica anche la cultura del paese di arrivo, perché crea una diversità all’interno di questa, cosa che tendenzialmente comporta un processo di percezione interculturale, sia dialogico sia conflittuale”
Io sono perfettamente d’accordo con questa visione. Il migrante porta con sé un bagaglio immenso di esperienze, capace di arricchire le comunità che lo ospitano. Infatti, le comunità che accolgono i migranti diventano realtà multietniche, capaci di assorbire il cambiamento e arricchirsi in termini di opportunità e innovazione sociale.
I migranti giocano un ruolo determinante nello sviluppo culturale, sociale ed economico del paese che li ospita. Lo fanno perché sono portatori di conoscenze, esperienze e competenze positive e peculiari, che se integrate a quelle autoctone, generano innovazione, progresso e crescita.
Dal nostro punto di vista, il primo passo per una piena e positiva integrazione è l’apprendimento della lingua del paese ospitante. Questo infatti permette al migrante di comprendere le caratteristiche del luogo in cui è inserito, le dinamiche relazionali e istituzionali che lo contraddistinguono. Il secondo elemento essenziale per una piena integrazione è l’inclusione lavorativa: la possibilità di trovare un lavoro regolare consente al migrante di sentirsi una parte integrante e attiva della società.
La mia esperienza mi ha portato ad accorgermi del ruolo dei migranti nelle comunità di accoglienza nel momento in cui questi le lasciano: immaginate il mercato di porta palazzo, durante la stagione estiva; un luogo che passa dall’essere connotato da dinamismo, energia e contaminazione, a un luogo triste e quasi, oserei dire, desolato.
La presenza dei migranti è infatti un elemento divenuto strutturale delle nostre comunità. A questo proposito diviene necessario esser capaci di educare alla multietnicità e alla diversità, modificare alcune narrative, portate avanti da una certa politica, che considerano il migrante un elemento straniero e pericoloso.
Un’ultima parola vorrei spenderla sulle seconde generazione. Se da un lato queste sperimentano percorsi di integrazioni meno complessi delle prime generazioni, in quanto inseriti dalla nascita nelle comunità che hanno accolto i loro genitori, dall’altro rischiano di sentirsi ovunque migranti. Questo perché non conoscono a pieno le realtà e la cultura di origine della loro famiglia e, allo stesso tempo, vengono considerati stranieri nelle comunità in cui sono nati. Per questo ritengo fondamentale l’impegno sia della politica sia della società civile di promuovere una loro piena integrazione, per far sì che questi riescano nelle nostre comunità a sentirsi a casa.
Amina ELMOTASSIME